REGIONE PIEMONTE Pad. 10 Stand E3-F3 PIEMONTE LAND OF WINE
 Martedì 8 aprile 2025, ore 14.30

L’incontro si propone di stimolare le riflessioni di  produttori, consorzi, esperti del settore e istituzioni per esplorare le sfide e le opportunità che attendono il comparto vitivinicolo piemontese.
Un grande onore per l’Accademia di Agricoltura di Torino poter organizzare, in collaborazione con l’Assessorato all’Agricoltura e Cibo della Regione Piemonte una conferenza – sottolinea il Presidente, Marco Devecchi – su tematiche così importanti per il futuro della viticoltura piemontese nel respiro internazione di Vinitaly 2025.
La sostenibilità sarà al centro del dibattito, con un focus sulle strategie per garantire una redditività adeguata della filiera, ridurre l’impatto ambientale, garantire condizioni di lavoro etiche e valorizzare la biodiversità viticola del territorio, attraverso un approccio interdisciplinare capace di integrare nuove competenze e saperi, per coniugare tradizione e innovazione, promuovendo l’identità delle eccellenze territoriali.
Verranno analizzati i nuovi scenari di mercato, dalle strategie per rafforzare la competitività internazionale della filiera vitivinicola piemontese, fino all’evoluzione dei modelli di consumo, con particolare attenzione alle preferenze delle nuove generazioni e ai trend emergenti.
Un momento di confronto concreto, volto a tracciare una “roadmap” per un Piemonte vitivinicolo sempre più innovativo, capace di affrontare le sfide globali con visione e pragmatismo.
Parteciperanno – moderati da Monica Massa di Millevigne – Alberto Cugnetto, Andrea Ferrero, Vincenzo Gerbi, Paola Lanzavecchia,  Davide Viglino, Ercole Zuccaro.

È gradita la conferma di partecipazione: info@accademiadiagricoltura.it

vinitaly

CONFERENZA 8 APRILE ORE 14:30 – AREA PIEMONTE VINITALY 2025

Accademia di Agricoltura ha organizzato con successo un incontro specifico sul futuro del vino piemontese, il titolo: IL PIEMONTE DEL FUTURO: SOSTENIBILITA’, COMPETITIVITA’ E NUOVI ORIZZONTI DI CONSUMO DEL VINO nel contesto delle iniziative organizzate dalla Regione Piemonte presso il proprio stand nel Padiglione 10 di Vinitaly 2025.

Il momento difficile che stiamo attraversando, le turbolenze economiche mondiali, le abitudini alimentari che cambiano vorticosamente, i fattori climatici e le necessità di innovazione soni state il motivo conduttore del confronto tra esperti professionisti del mondo vitivinicolo.

La moderatrice Monica Massa – direttrice del periodico specializzato “MILLEVIGNE” – ha formulato a ciascuno dei partecipanti alla tavola rotonda, due quesiti centrali rispetto al futuro del vino e del territorio piemontese.

Vi riportiamo lo scambio di riflessioni tra gli esperti. Buona lettura.

ANDREA FERRERO

Quali strategie di promozione possono essere adottate per valorizzare le DOC piemontesi meno conosciute e in maggiore difficoltà, come il Dolcetto, e come diversificare i mercati per accrescere la loro competitività a livello internazionale?

Per valorizzare le DOC piemontesi meno conosciute, come il Dolcetto, è fondamentale rinnovare la comunicazione, rendendola più vicina ai linguaggi e ai canali utilizzati dalle nuove generazioni. Millennials e Gen Z cercano autenticità, storie vere e una connessione con i valori: per questo i video brevi, i contenuti visivi sui social e le collaborazioni con influencer del settore possono diventare strumenti chiave.

Ma la comunicazione non può fermarsi all’estetica. Occorre raccontare il territorio, le persone, le tradizioni e la cultura che stanno dietro a questi vini. Il Dolcetto, con la sua forte identità locale, ha tutte le carte in regola per emergere, se presentato non come un’alternativa minore, ma come espressione autentica del Piemonte, da valorizzare meglio anche in termini enoturistici.

Parallelamente, bisogna diversificare i mercati, puntando anche su paesi emergenti e curiosi verso vini di nicchia, e investire nella formazione: degustazioni guidate, eventi esperienziali e contenuti educativi aiutano a cambiare la percezione del prodotto.

In sintesi, per rilanciare il Dolcetto e le altre DOC piemontesi in difficoltà, serve una comunicazione nuova, visiva, dinamica e autentica, che parli il linguaggio delle nuove generazioni e che sappia al contempo valorizzare l’unicità e la ricchezza dei territori da cui questi vini nascono.

 In che modo il trend dei vini da vitigni resistenti PIWI e i NOLO, potrebbe influire sulle scelte produttive in Piemonte, e quali decisioni, anche a livello di modifica dei disciplinari di produzione, potrebbero essere messe in atto per consentire ai produttori di avvicinarsi a queste fette di mercato?

Il crescente interesse per i vini da vitigni PIWI e per i prodotti NOLO rappresenta una tendenza che anche il Piemonte deve osservare con attenzione, soprattutto in un contesto in cui sostenibilità e nuovi stili di consumo – più leggeri e consapevoli – stanno modificando il rapporto delle nuove generazioni con il vino. Tuttavia, invece di puntare esclusivamente su varietà resistenti spesso lontane dalla tradizione regionale, sarebbe più coerente promuovere l’impiego di varietà autoctone o cloni meglio adattati, e soprattutto incentivare la selezione di somacloni o individui assimilabili ai vitigni storici piemontesi, ma più tolleranti alle malattie e agli stress climatici, attraverso le Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA). Questo approccio permetterebbe di innovare salvaguardando al tempo stesso l’identità territoriale e varietale del Piemonte.

Dal punto di vista normativo, è auspicabile aprire una riflessione sull’aggiornamento dei disciplinari di produzione, soprattutto attraverso l’utilizzo delle Denominazioni di ricaduta. In questi contesti si potrebbe prevedere l’introduzione di tipologie con gradazioni alcoliche naturalmente più basse, ottenute attraverso vendemmie anticipate e rese più elevate, in modo da rispondere alla domanda crescente di vini freschi, meno alcolici e adatti a un consumo più quotidiano, senza dover ricorrere a tecniche invasive.

Un altro aspetto cruciale riguarda il tema della dealcolazione, totale o parziale, che oggi non è ammessa per i vini a Denominazione d’Origine. Nonostante ciò, si tratta di un ambito che va presidiato con attenzione, monitorando le evoluzioni normative e produttive nei paesi competitor, dove la flessibilità in questo senso sta già creando nuovi segmenti di mercato. Se da un lato è giusto difendere la tipicità e il valore qualitativo delle DOC piemontesi, dall’altro è necessario non rimanere immobili, valutando come rispondere in modo strategico e coerente a una domanda globale in rapida trasformazione.

 

DAVIDE VIGLINO

Il modello cooperativo ha giocato un ruolo fondamentale nella viticoltura piemontese, ma oggi si trova di fronte a nuove sfide. Come può il mondo della cooperazione integrarsi meglio con il mondo delle imprese private per aumentare la competitività del settore, in particolare sui mercati esteri e nella GDO?

 Il modello cooperativo ha rappresentato per decenni un pilastro della viticoltura piemontese, garantendo reddito ai piccoli conferitori, presidio del territorio e tenuta sociale in molte aree rurali. Tuttavia, oggi si trova ad affrontare sfide nuove e complesse, che richiedono una visione più integrata del sistema vitivinicolo regionale. In particolare, la crescente pressione competitiva sui mercati esteri e nella GDO impone una maggiore coesione tra il mondo cooperativo e quello delle imprese private.

Per affrontare queste sfide in modo efficace, è fondamentale costruire accordi di filiera solidi e trasparenti, che permettano di mettere in comune risorse, know-how e strategie commerciali. La cooperazione, con la sua capillarità sul territorio e la forza aggregativa, può giocare un ruolo chiave nella fornitura di uve e vini di qualità costante e tracciabile, mentre le imprese private, spesso più flessibili e orientate al mercato, possono guidare lo sviluppo di brand forti, la penetrazione nei mercati internazionali e l’innovazione di prodotto e di comunicazione.

2.I prodotti Made in Italy e Made in Piemonte all’estero godono di una grandissima reputazione e sono molto richiesti, e imitati, con un danno per l’economia nazionale. È possibile trovare un equilibrio tra l’adattamento alle richieste del mercato e la tutela delle produzioni identitarie di qualità? Quali iniziative potrebbero rafforzare questa sinergia?

È proprio dalla sinergia tra queste due realtà che può nascere un sistema più competitivo e coeso, capace di posizionare meglio il vino piemontese nel mondo. In quest’ottica, diventa cruciale anche il ruolo delle associazioni di categoria, dei consorzi di tutela e delle istituzioni regionali, che dovrebbero favorire occasioni di confronto e costruzione di strategie comuni, superando le divisioni che spesso hanno limitato lo sviluppo di una visione unitaria.

Un maggior coordinamento tra i rappresentanti delle diverse anime del settore – cooperative, aziende familiari, grandi gruppi, produttori indipendenti – è il primo passo per affrontare temi centrali come la programmazione produttiva, la promozione collettiva e l’accesso ai mercati in modo più strutturato. Solo così il Piemonte potrà giocare un ruolo di primo piano, non solo per la qualità dei suoi vini, ma anche per la solidità e l’intelligenza del suo sistema produttivo.

 

ALBERTO CUGNETTO

In che modo l’enologo contribuisce a preservare la tradizione e l’identità dell’enologia piemontese, integrandola con approcci innovativi nella filiera produttiva?

Il Piemonte vitivinicolo affronta una sfida decisiva: preservare l’identità delle denominazioni storiche e, al contempo, evolversi per rispondere a un mercato dinamico e in trasformazione. In questo contesto, l’enologo assume un ruolo centrale, chiamato a coniugare innovazione e rispetto del territorio.

La qualità del vino si ridefinisce: si premiano freschezza, bevibilità ed eleganza, soprattutto nei vini di pronta e media beva. Nei grandi vini da affinamento, resta fondamentale l’identità, ma con maggiore attenzione all’equilibrio gusto-olfattivo e alla valorizzazione del terroir.

Innovare non significa omologare e l’enologo deve ampliare le sue competenze:

– Utilizzare varietà possibilmente autoctone e loro cloni più idonei a fornire uve adatte alle mutate condizioni ambientali e vini in linea con le esigenze di mercato.

– Integrare tecnologie digitali e intelligenza artificiale per una viticoltura e vinificazione di precisione.

– Adottare pratiche enologiche più sartoriali, per rispettare l’identità varietale.

Qual è il ruolo dell’enologo nel rispondere alle nuove tendenze di consumo, come la richiesta di vini a basso impatto ambientale o a basso grado alcolico, e come questo influisce sulla valorizzazione delle produzioni piemontesi?

Le nuove sfide includono l’implementazione della sostenibilità, la riduzione del tenore alcolico e il ritorno dell’enologo come comunicatore. Sebbene la legislazione attuale non consenta in Piemonte la produzione di vini dealcolati partendo dai prodotti con denominazione di origine, è fondamentale che gli enologi acquisiscano competenze in merito, ricordando che la riduzione dell’alcol può essere affrontata indirettamente attraverso vendemmie anticipate, gestione agronomica mirata e uso di risorse enologiche specifiche, come i lieviti non saccaromiceti.

In parallelo, la sostenibilità deve diventare anche un asset di comunicazione. L’enologo non è più solo un tecnico di cantina, ma anche un interprete e comunicatore del vino. Deve padroneggiare i nuovi format comunicativi e conoscere le tendenze di mercato, per incidere anche sulla percezione del prodotto.

Per restare competitivi, bisogna superare l’idea dell’enologo come mero tecnico: è un innovatore, un gestore della sostenibilità e un ponte tra tradizione e futuro, con competenze interdisciplinari, che vanno dalla progettazione all’impianto del vigneto al marketing e distribuzione del vino.

 

VINCENZO GERBI

In che modo il modello piemontese di ricerca e sviluppo ha favorito e favorisce la cooperazione tra aziende e università, e su quali argomenti di ricerca bisogna continuare a lavorare per supportare i viticoltori in questa fase delicata?

La storia della ricerca e del trasferimento tecnologico in Piemonte ha radici molto antiche. Proprio 240 anni fa, il 24 maggio 1785, per volontà di Vittorio Amedeo III di Savoia, nacque la Società Agraria, che in seguito divenne l’Accademia di Agricoltura di Torino. L’Accademia è stata sede storicamente di confronto tra le conoscenze degli studiosi e le esperienze dei produttori, allora più propriamente proprietari terrieri. Dell’applicazione delle conoscenze ai progressi dell’agricoltura si trovano molte testimonianze negli atti dell’Accademia. Per quanto riguarda in particolare la viticoltura, particolarmente ricco di stimoli fu il periodo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, a causa delle crittogame e dei parassiti che colpirono la vite e costrinsero i coltivatori ad adottare sistemi di difesa e tecniche di propagazione che cambiarono per sempre il destino della viticoltura.

Gli enti di ricerca e formazione sorti successivamente, la Stazione Enologica di Asti (1872) e la Scuola di Viticoltura e di Enologia di Alba (1881), diedero un contributo determinante al progresso enologico e alla formazione della classe dirigente. Cito come esempio il contributo al progresso enologico dato da Federico Martinotti, che l’anno scorso abbiamo celebrato nel centenario della scomparsa e che diresse fino alla morte la Stazione Enologica di Asti, unanimemente riconosciuto l’ideatore della spumantizzazione in grandi recipienti, tecnologia che ha supportato lo sviluppo di spumanti come l’Asti e il Prosecco.

 Quali progetti e risultati concreti stati raggiunti grazie alla collaborazione tra enti di ricerca (CREA, DISAFA, da poco anche CONVIVI) e imprese/Consorzi di tutela?

La Facoltà di Agraria dell’Università di Torino è storia più recente (1935), ma è stata ed è nell’attuale assetto dipartimentale, un modello di interazione continua tra didattica, ricerca e mondo della produzione. Di recente (2020), ad esempio, la realizzazione della nuova Cantina sperimentale Bonafous, gestita in collaborazione con la cooperativa Vignaioli Piemontesi, è un esempio di interazione fattiva con le istanze espresse dai produttori, sia in campo viticolo con lo studio delle attitudini enologiche del materiale di propagazione e la valorizzazione di vitigni storici minori, sia in campo enologico con la messa a punto di tecniche di vinificazione adatte a migliorare l’espressione varietale e territoriale dei vini. Recentissima (2024) la nascita ad Alba del Centro Interdipartimentale di Ricerca Viticoltura e Vino – CONViVi, che rappresenta un’importante iniziativa volta a promuovere la ricerca di base e applicata ed il trasferimento tecnologico nel settore vitivinicolo, favorendo la collaborazione tra enti preposti alla ricerca, mondo dell’impresa, dell’associazionismo e della cooperazione del sistema vitivinicolo e delle filiere ad esso collegate.

Le sfide da affrontare sono sempre molte e tra le più importanti per la viticoltura c’è la necessità di lavorare in modo integrato sulle resistenze della vite, mentre per l’enologia occorre ancora lavorare sulla profonda conoscenza della composizione dell’uva per sfruttarne le potenzialità in termini espressivi e di autoconservazione del vino, sottolineandone anche la diversità rispetto a tutte le altre bevande alcoliche.

 

PAOLA LANZAVECCHIA

Quali sono le prospettive di evoluzione del mercato del vino Piemontese, quali le principali criticità che si trovano ad affrontare le aziende del vino per garantire o quantomeno mantenere un livello adeguato di reddito?-

Il mercato del vino piemontese, nel contesto post-Covid, si trova ad affrontare una fase di profondo cambiamento. I consumi interni sono guidati da nuove generazioni più consapevoli, attente a qualità, sostenibilità e identità territoriale, ma meno propense alla spesa elevata. All’estero, sebbene l’export resti un pilastro, si avvertono le pressioni di costi crescenti, inflazione globale e incertezze geopolitiche, come il tema dei dazi USA. È fondamentale non farsi prendere dal panico: il Piemonte possiede solide leve per convincere il consumatore, grazie a una qualità costante, denominazioni riconosciute e un racconto territoriale autentico che può giustificare un prezzo superiore alla media dei competitor.

Tra gli asset strategici, l’enoturismo assume un ruolo sempre più importante, soprattutto per le piccole e medie aziende: rappresenta un’occasione concreta di valorizzazione dei prodotti e di incremento della redditività. È necessario sostenerlo con politiche ad hoc, ma anche con la formazione di personale specializzato, in grado di accogliere, intrattenere e coinvolgere i visitatori in un’esperienza autentica e memorabile.

La sostenibilità economica dell’intera filiera resta una sfida centrale: viticoltori, vinificatori, imbottigliatori e distributori devono poter contare su un reddito adeguato. Servono accordi di filiera, momenti di confronto strutturati e politiche condivise, per rafforzare il sistema senza cedere alla rincorsa al ribasso.

In che modo le imprese piemontesi stanno integrando la responsabilità sociale nelle loro operazioni, e qual è il ruolo della collaborazione tra i vari attori della filiera nel promuovere pratiche più sostenibili e socialmente responsabili?

Le imprese piemontesi stanno integrando con crescente consapevolezza la responsabilità sociale nelle loro pratiche. Iniziative come “L’Accademia della Vite” di WECO, che promuove l’integrazione della manodopera straniera attraverso formazione in campo, assistenza logistica e condizioni di lavoro dignitose, sono esempi concreti che stanno prendendo nuovi ulteriori sviluppi. A queste si affiancano protocolli d’intesa – come quello promosso dalla Prefettura di Cuneo e firmato anche da Confindustria Cuneo – volti a garantire un lavoro equo e rispettoso, sostenibile in ogni suo aspetto.

Cresce la consapevolezza della necessità di convergere verso modelli di integrazione fondati su forti valori etici, che riconoscano e valorizzino le competenze e le professionalità di tutti i lavoratori. Il fattore umano, insieme alle peculiarità ambientali e viticole, è alla base del successo delle aziende piemontesi. In questo senso, la Langa rappresenta un modello d’avanguardia: è il primo territorio ad aver adottato un metodo rigoroso per analizzare le istanze di tutti gli stakeholder e co-progettare soluzioni condivise. L’obiettivo è la creazione di un ecosistema in cui le aziende dispongono di manodopera formata e trattata equamente, i lavoratori vedono rispettati i propri diritti e si fidelizzano, e il territorio guadagna in reputazione a livello internazionale, rafforzandosi come “first mover” di un modello vitivinicolo sostenibile, responsabile e competitivo.

 

ERCOLE ZUCCARO

Quali sono le principali sfide socioeconomiche che stanno affrontando i territori vitivinicoli piemontesi e quali strategie potrebbero essere adottate per supportare la sostenibilità economica e sociale delle comunità locali?

La viticoltura è un pilastro dell’economia agricola regionale. Nel 2024, per la prima volta dopo anni, si è interrotto il trend di progressiva riduzione delle superfici coltivate a vigneto e si è registrata un’inversione di tendenza, con un ritorno alla crescita: la superficie vitata ha raggiunto i 44.500 ettari e la produzione è salita del 5%, toccando i 2,25 milioni di ettolitri. Tuttavia, la struttura produttiva resta fragile: oltre metà delle aziende ha meno di 5 ettari e solo il 12% adotta certificazioni di sostenibilità.

Le sfide principali che deve affrontare la vitivinicoltura piemontese sono di carattere economico, sociale e ambientale: servono modelli che uniscano redditività, turismo, filiere corte e valorizzazione delle denominazioni minori. È urgente favorire il ricambio generazionale e l’adattamento climatico, valorizzando i vitigni autoctoni e sostenibilità.

Come potrebbe essere implementato il sistema di pagamenti per i servizi ecosistemici ai viticoltori in Italia, prendendo ispirazione dal modello adottato in Svizzera?

La viticoltura piemontese fornisce importanti servizi ecosistemici, ma questi non sono ancora riconosciuti o remunerati in modo strutturato. La Svizzera, con una viticoltura molto più presente nelle aree montane, ci offre un utile modello di confronto: ha costruito un sistema di pagamenti diretti che premia i servizi ambientali, con investimenti rilevanti anche nei vigneti.

Per valorizzare i servizi ecosistemici della viticoltura sostenibile il Piemonte potrebbe attivare due strumenti strategici. In primo luogo, la realizzazione di una piattaforma digitale per la misurazione trasparente dei servizi ecosistemici offerti dalle pratiche agricole, per validare scientificamente gli effetti ambientali delle pratiche adottate. Successivamente si potrebbero introdurre bandi specifici nell’ambito del Csr, destinati a riconoscere e remunerare i servizi ecosistemici nelle aree collinari e montane più vulnerabili. Le misure, ispirate al modello delle indennità compensative, avrebbero una finalità esplicitamente ambientale e contribuirebbero a valorizzare il ruolo attivo delle imprese agricole nella tutela del territorio.

 

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